Il Disturbo Oppositivo Provocatorio DOP

Cos’è il Disturbo Oppositivo Provocatorio?

Il Disturbo Oppositivo Provocatorio DOP rappresenta una sottocategoria dei Disturbi di Controllo del Comportamento Impulsivo, ed è caratterizzato da:

  • umore irritabile
  • comportamenti polemici e vendicativi
  • collera ed elevata suscettibilità.

Tali modalità si manifestano in modo frequente e stabile. Nel corso della prima infanzia, il comportamento ostile e negativistico è del tutto normale. Esso è espressione della volontà del bambino di diventare autonomo e di porre fine al rapporto simbiotico che lo ha legato alla mamma fin dalla nascita. Egli vuole andare alla scoperta del mondo, vuole sperimentare, fare nuove esperienze, che sono propedeutiche per l’acquisizione di un’identità e di un autocontrollo. Terminata questa fase, il bambino acquisisce una forma di autoregolazione che gli permetterà di instaurare rapporti meno conflittuali.

Si può parlare di disturbo oppositivo-provocatorio quando il comportamento ostile, anziché svanire lentamente, persiste nel tempo ed in forme accentuate, tanto da creare serie difficoltà relazionali, dapprima nell’ambiente familiare, poi in quello sociale (Despinoy, 2001).
Rispetto ai bambini della stessa età mentale, i soggetti con DOP presentano un’aggressività molto più invalidante e difficilmente modificabile. Sono arrabbiati, risentiti e insofferenti, non accettano l’autorità degli adulti e vi si ribellano apertamente. Lottano continuamente con i genitori, non si conformano alle loro regole e non rispettano gli orari. La loro aggressività non è esclusivamente reattiva, ma amano provocare, sfidare gli altri, disturbare volontariamente, senza mostrare tuttavia alcun tipo di violenza (Mastroeni, 1997).

Inoltre, questi bambini non si giudicano responsabili dei loro errori e ne attribuiscono le colpe ad altri: quindi non hanno consapevolezza del loro problema, non si considerano affatto oppositivi o provocatori e giudicano i loro cattivi comportamenti come risposte normali a un ambiente irritante e frustrante.

Sintomi del Disturbo Oppositivo Provocatorio

Soprattutto nella fase iniziale, i sintomi del Disturbo Oppositivo Provocatorio potrebbero manifestarsi soltanto all’interno delle mura domestiche. Di solito, però, successivamente cominciano a interessare anche l’ambiente esterno: dapprima vengono coinvolte le persone che il bambino conosce meglio – come i compagni di gioco; in seguito è probabile che gli atteggiamenti aggressivi vengano rivolti indistintamente a tutte le persone che cercheranno di instaurare un rapporto con loro (Di Scipio & Romani, 2001).

Se il disturbo si manifesta già intorno ai 3-4 anni, con l’ingresso del bambino a scuola il problema diverrà sempre più evidente. Infatti, i bambini con DOP mostrano una totale incapacità di adattamento alle regole scolastiche e la loro oppositività finisce con il condizionare l’attività didattica dell’intera classe.

Chi sono i bambini con disturbo oppositivo provocatorio?

Anche se dotati di un normale livello intellettivo, spesso essi non ottengono buoni risultati, in quanto sono penalizzati dalle loro condotte, manifestando la loro incapacità di conformarsi alle regole anche nelle relazioni tra pari, come nei lavori di gruppo o nelle attività ricreative. Il bambino con disturbo oppositivo-provocatorio può interferire negativamente in qualsiasi tipo di attività, anche se ben organizzata. Scatena risate generali, innervosisce i compagni, ribalta le sedie e assume un atteggiamento di passivo rifiuto nei confronti di chiunque cerchi di avvicinarsi. Mette in atto una sorta di resistenza verbale, pronunciando frasi del tipo “non può dirmi quello che devo fare” e cerca di attirare l’attenzione dei compagni facendo commenti spregevoli sull’insegnante o imitandone i gesti. Fa smorfie, guarda in un’altra direzione quando si parla con lui, fa di proposito quello che gli si dice di non fare. Se rimproverato può far finta di niente o fingere di ascoltare tacitamente e poi scoppiare a ridere proprio nel momento in cui si credeva di averlo intimorito (Colvin, Ainge, & Nelson, 1998).

Volendo sempre stare al centro dell’attenzione, nel contesto ludico si mostrano poco inclini alla collaborazione di squadra e all’alternanza dei turni e finiscono con l’intromettersi negli spazi d’azione dei compagni, impedendone la partecipazione ai giochi comuni.
Nelle altre attività, invece, cercano sempre di comandare e imporre la loro volontà ad ogni costo, arrivando ad aggredire con insulti e minacce chi non si mostra concorde con le loro idee.

Da quanto detto finora si desume che i bambini oppositivo-provocatori non riescono ad instaurare dei buoni rapporti con gli adulti, forse perché li identificano con l’autorità, o forse perché non accettano il loro modo di ragionare sempre in termini di norme e divieti. L’aspetto più preoccupante, però, è che questi bambini non sono fonte di apprensione solo per i genitori e per gli insegnanti, ma anche per i compagni che spesso li considerano dei veri e propri incubi e arrivano a temere persino la loro vicinanza.

Gli amici ovviamente, si stancano presto di queste prepotenze e iniziano anche ad aver paura delle loro reazioni improvvise ed esageratamente aggressive, così cominciano ad evitare la loro compagnia e pian piano li allontanano dal gruppo. Questo rifiuto da parte dei coetanei non farà altro che aggravare ancora di più la loro condizione. In altre parole si verrà a creare una sorta di circolo vizioso: a causa della loro incapacità di adattamento, i soggetti oppositivo-provocatori avranno grosse difficoltà a instaurare relazioni amichevoli durature, e ritrovandosi soli e senza qualcuno con cui interagire, non potranno neanche sperimentare forme migliori di socializzazione (Farmer, 2001).

Come si può trattare il Disturbo Oppositivo Provocatorio?

È stato ampiamente dimostrato che gli interventi multimodali e multisistemici hanno maggior efficacia terapeutica per il trattamento del disturbo oppositivo-provocatorio (Southam-Gerow & Kendall, 1997) perché tengono conto dell’origine complessa del disturbo, cercando di influire sui diversi fattori che contribuiscono all’emergere del comportamento deviante e prevedendo interventi individuali, familiari ed extrafamiliari, ed eventualmente anche psicofarmacologici.

È necessario improntare un setting multiplo che offra aspetti relazionali differenti, ma integrati, perché è il più adatto a confrontarsi con contesti relazionali e organizzazioni del Sé caratterizzati da scarsi livelli di integrazione e da modelli multipli e incoerenti del Sé e dell’altro che spesso sono agiti sul piano comportamentale (Liotti, 2001). Pertanto, il terapeuta dovrà, proporsi come base sicura per il bambino, accogliendo con equilibrio livelli spesso elevati di sofferenza e riconoscendo nei propri atteggiamenti eventuali sbilanciamenti relazionali (quali l’ipercoinvolgimento o l’eccessivo distanziamento emotivo dall’altro) che possono crearsi nei contesti di aggressività e oppositività e diventare forti ostacoli al processo di cambiamento.

L’approccio cognitivo-comportamentale classico ha messo a punto un insieme di procedure che si sono dimostrate piuttosto utili nella terapia del disturbo oppositivo-provocatorio, come i “training dell’autocontrollo” nei quali i bambini vengono supportati nell’individuare le esperienze o le sensazioni fisiologiche che segnalano la comparsa di una reazione di rabbia, e incoraggiati a graduare i livelli di intensità dell’emozione avvertita. Questo approccio si focalizza su come il bambino con disturbo oppositivo-provocatorio si relaziona alle situazioni che percepisce come frustranti e pericolose, quindi sui pensieri e sulle emozioni, in particolare la rabbia, che ne derivano e punta ad insegnargli delle tecniche per imparare a gestirle.

La concettualizzazione dei dati percettivi consente al bambino di identificare gradualmente la rabbia a livelli più bassi e più facilmente controllabili. Infine, si agisce sul dialogo interno, aiutando il bambino ad identificare i pensieri che possono aumentare o ridurre l’attivazione emotiva della rabbia, condizionando i comportamenti. Per far ciò si ricorre al modello ABC nel quale si annota:

  • la “A: Situazione”, ovvero il contesto in cui il comportamento si è manifestato e gli eventi che hanno preceduto la sua comparsa
  • le “C: Emozioni” che si sono scatenate con eventuale indicazione della loro intensità su una scala da 0 a 100
  • e i “B: Pensieri automatici” che hanno generato le emozioni.
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Colloquio gratuito

È possibile richiedere un primo colloquio gratuito su iniziativa dei genitori, su richiesta del pediatra o delle insegnanti.
Il primo colloquio è un momento conoscitivo con il genitore utile a raccogliere informazioni rilevanti sulla storia clinica del bambino/ragazzo e sulle criticità che hanno spinto a richiedere questo primo incontro, porre dubbi e fare domande.
Questa fase aiuta a identificare l’eventuale problema e fornisce un primo orientamento per impostare la successiva fase di valutazione.

Valutazione combinata

L’iter valutativo è caratterizzato da una serie di incontri durante i quali vengono raccolte informazioni e somministrati test e questionari utili a indagare il funzionamento cognitivo e neuropsicologico; le prestazioni negli apprendimenti; gli aspetti emotivi e comportamentali del bambino/ragazzo.
Gli incontri possono coinvolgere vari specialisti: neuropsichiatra infantile, psicologo-psicoterapeuta, logopedista, neuro-psicomotricista. Lavorando ciascuno nella propria professionalità, in équipe giungono a una visione globale e complessiva del funzionamento dell’individuo, delle difficoltà e dei punti di forza.
A conclusione del percorso diagnostico viene redatta la relazione che sintetizza quanto emerso, con indicazione delle proposte di intervento ritenute più opportune.

Terapia

Sulla base delle specifiche necessità emerse in fase di valutazione, viene proposto un intervento individualizzato sulla persona, con la l’indicazione di modalità, tempi e obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Follow up

Al termine della terapia, sono previsti degli incontri per monitorare l’andamento del quadro clinico nel corso del tempo.